Vivere i luoghi non più come turisti in vacanza, ma come parte attiva del territorio che ci ospita. Mettere le persone e le storie dei luoghi al centro delle destinazioni. Sono i concetti su cui operatori, professionisti e istituzioni stanno lavorando da tempo per costruire comunità ospitali e pensare il turismo di domani.
Parliamo di comunità ospitali per identificare chi vive un territorio e decide di accogliere quei viaggiatori che diventano cittadini temporanei di quel luogo. In questo nuovo modo di concepire i territori si colloca una Destinazione Ospitale che immagina un nuovo modo di fare turismo, in armonia con i luoghi, le comunità e che parta proprio dalle storie delle comunità e delle destinazioni.
Parliamo di storie e non di storytelling, perché sullo storytelling in generale è stato scritto tantissimo, un termine talmente abusato che alla fine ha finito per perdere il suo valore centrale. Alla base dello storytelling c’è ormai molto marketing, resta però il fatto che se c’è una cosa da cui non si può più prescindere è come le comunità e le storie facciano i luoghi. Le storie sono sempre più una sorta di collante tra comunità e luoghi, tra viaggiatori e luoghi, tra istituzioni e luoghi. Queste storie però, devono avere un significato, devono arrivare alle persone. Ci vuole qualcuno che abbia gli strumenti per veicolare le storie e qualcun altro che abbia orecchie ben tese per raccoglierle. Per seguirle, farle proprie e diffonderle queste storie.
Di comunità ospitali, delle loro storie e di molto altro se n’è discusso durante la settima edizione del Festival dell’Ospitalità, che si è svolto a Nicotera (VV) dal 30 settembre al 2 ottobre scorso.
- Restituire le storie alla comunità
- Luoghi e memoria
- Comunità ospitali e storie di cibo
- Le comunità ospitali e le storie per attivare i luoghi
- Le comunità e gli abitanti temporanei
- Ripensare i paesi in modo etico
Restituire le storie alla comunità
La prima giornata del Festival è stata dedicata a due laboratori di narrazione attiva, con l’obiettivo di dare significato ai luoghi. Un significato che cambia in base a chi lo attribuisce. L’affaccio di un borgo come Nicotera, può essere il luogo in cui i propri nonni guardavano nostalgici il tramonto o il luogo in cui con i compagni di classe si è festeggiata la fine della scuola. A prescindere dal significato che attribuiamo ad un luogo, è la storia in sé che gli dà valore. La maggior parte di noi però è portata a pensare che quella storia non interessi a nessuno.
Durante il Festival dell’ospitalità con i laboratori a cura di Francesca Folda e Girolamo Grammatico, ci siamo occupati proprio di questo: dare alle persone gli strumenti per raccontare le storie, per donarle agli altri, per fare in modo che una storia personale possa diventare collettiva. E abbiamo scoperto che i luoghi si rigenerano anche così, grazie alle storie.
Due squadre divise tra Marina di Nicotera e il borgo di Nicotera hanno passeggiato per le strade dei rispettivi territori, scrivendo un vero e proprio diario collettivo in post-it colorati e restituendo quella storia alla comunità. Storie per lo più personali, ma molto spesso condivise. A dimostrazione del fatto che chi vive un territorio, ne condivide anche i racconti.
ll laboratorio pomeridiano a cura di Francesca Folda ha, invece, voluto fornire ai partecipanti gli strumenti per raccontare una storia che potesse spingere chi ci ascolta all’azione. Uno degli strumenti principali è quello di raccontare storie in cui gli altri si possano immedesimare. Questo può avvenire ad esempio raccontando storie semplici, collegate ad una tradizione, a periodi della nostra infanzia.
Luoghi e memoria
Come dare valore alle storie? Come trasferirle a chi visita un luogo per la prima volta? Le storie si nutrono della memoria e una comunità ospitale si occupa di preservare la memoria di quel luogo. Un concetto che è alla base di “Paraloup”. Una borgata alpina che, durante la seconda guerra mondiale, è stata riparo per 200 ragazzi che lì sono diventati partigiani e hanno lottato per la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Oggi Paraloup è un luogo di doppia memoria: quella della Resistenza e quella della vita rurale di montagna. Attraverso il museo dei racconti, gli itinerari dei partigiani, le residenze artistiche, si fa resistenza di comunità e si protegge la memoria del luogo. Paraloup, che in occitano vuol dire “al riparo dai lupi”, è un esempio di destinazione ospitale in cui si può vivere tutto l’anno un’esperienza di comunità accogliente, solidale e sostenibile.
Comunità ospitali e storie di cibo
Le comunità ospitali possono essere raccontate attraverso il cibo e sono sempre le storie a fare da collante. Non è semplicemente il piatto identitario di un luogo a fare la differenza, è il modo in cui quel piatto veniva cucinato un tempo, quello che rappresentava, la tradizione legata a quel piatto, le sue varianti e quanto quel piatto è stato di conforto per intere generazioni in un passato non troppo lontano.
Per riscoprire il legame tra luoghi e storie è nato Slow Food Travel, di Fondazione Slow Food. Un nuovo modello di viaggio in cui le comunità diventano narratrici dei loro territori e guide speciali alla scoperta delle tradizioni locali. Sono gli agricoltori, i pastori, i viticoltori ad avvicinare i viaggiatori alla conservazione della biodiversità alimentare e alla conoscenza di culture, identità e gastronomie locali.
Perché il turismo si fa col cibo, ma è possibile “solo se le comunità locali sono felici” (Giacomo Miola Vice-presidente Slow Food Italia).
Le comunità ospitali e le storie per attivare i luoghi
Mettere le comunità al centro delle destinazioni contribuisce non solo a rendere felici le persone, ma alla valorizzazione dei luoghi. Sono le comunità che fanno i luoghi e a sua volta sono le storie che permettono di approcciarsi a quei luoghi in modo autentico, identitario.
Con lo Stato dei Luoghi, Emmanuele Curti, si occupa di trasformare i luoghi in zone di scambio, che innescano comunità a venire. Delle vere e proprie community hub, “sperimentazioni che fanno incontrare, emergere, coagulare e consolidare energie sociali presenti nelle mille realtà del nostro Paese”.
Non si tratta però di una rigenerazione che ha bisogno del degrado, sono luoghi che più che rigenerati vengono (ri)attivati.
È il caso della cooperativa Kiwi, nata per ideare e promuovere “percorsi educativi e di formazione, processi di scrittura comunitaria, laboratori e workshop per riattivare territori e comunità, migliorare l’accessibilità alla cultura e sperimentare percorsi di innovazione“.
Al centro ci sono le comunità e le loro storie, che hanno bisogno di essere raccontate, per generare consapevolezza e senso di appartenenza ai luoghi.
Le comunità e gli abitanti temporanei
In questa urgenza di appartenenza ai luoghi conquista il suo spazio il concetto di abitante temporaneo, che si affianca al più longevo nomade digitale. L’abitante temporaneo cresce insieme ai residenti, fa spazio a nuovi modi di lavorare e vivere i territori, oltre ad essere un’opportunità economica per le comunità. HQ Village porta lo smart working all’interno dei piccoli borghi d’Italia. Da un lato accompagna le amministrazioni locali e gli host nel processo di rigenerazione delle abitazioni – per renderle sostenibili, digitali, nel rispetto dell’autenticità del luogo – dall’altro supporta aziende e professionisti nella ricerca del luogo temporaneo più adatto per vivere e lavorare.
Gli abitanti temporanei sono anche al centro de La Rivoluzione delle Seppie che ha come obiettivo quello di “creare coinvolgimento attivo della comunità locale e un nuovo senso di appartenenza per chi scopre Belmonte Calabro (CS), la volontà di riempire gli spazi vuoti e dare nuova forma e sostanza al vivere questi spazi, trasformandoli in “luoghi dell’abitare”.
Lo ha raccontato Vito Meola con il progetto BelMondo.
“la rivincita dei post che non importano”
BelMondo è un progetto di residenza temporanea rivolto a studenti, architetti, artisti e studiosi internazionali, che mette in connessione abitanti temporanei, tradizioni locali calabresi, la comunità locale e le attività proposte dalla Rivoluzione delle Seppie. Chi sceglie di vivere un’esperienza a Belmonte, partecipa ad un processo di riattivazione culturale di un’area marginale per sperimentare un diverso modo di vivere e lavorare collettivamente.
Ripensare i paesi in modo etico
Se le comunità sono al centro delle destinazioni, i paesi ne sono il contenitore. Paesi ospitali, fatti di storie e di persone. Paesi che vano attraversati e camminati. Che un paese va camminato, lo abbiamo sperimentato durante il trekking urbano notturno lungo il paese di Nicotera “Echi, parole dal borgo”. E lungo questo cammino abbiamo costruito la storia delle prossime destinazioni ospitali.
“Si sta aprendo un nuovo mondo. Bisogna solo avere solo il coraggio di disegnarlo” (Francesca Folda)
Sono destinazioni da costruire o semplicemente da ripensare. Per residenti e abitanti temporanei. Come fare? Pensando sempre a chi verrà dopo di noi. Un po’ come fa il paguro che a mano a mano che cresce abbandona la conchiglia divenuta stretta per trovare un’altra casa. Tutte le conchiglie che stanno in mare possono essere state la casa dello stesso paguro. I paesi vanno ripensati così, inclusivi ed etici.